Testi critici

Anni 50

…..Tutto è realizzato con un segno profondo, estremamente incisivo, ripassato senza ripensamenti, nel quale si individua il racconto della storia dell’umanità come si nota nei 4 Studi a china di Marchegiani.……
Marco Moretti e Paola Cassinelli da “Correnti Astratte in Toscana 1947-1955” Pacini Editore, Ospedaletto (Pisa)

Il giovane espositore ha abolito, oltre la realtà, i titoli, le cornici e la firma. Comunque varie sue opere sono la conseguenza di contatti con la realtà: vediamo infatti un gioco di prospettive ottenuto con una libera interpretazione di una vetrata moderna ed una rievocazione di sensazioni provocate da uno specchio…..
Sirio Verdianelli – Il Tirreno, 8 maggio 1958

….. ha abolito, oltre alla realtà, i titoli, le cornici e la firma…….vibranti accordi cromatici e su sfondi che ci ricordano talvolta i mosaici, distribuisce i colori con elaborati impasti. I rossi assumono spesso le caratteristiche delle fiamme …….
Luciano Bonetti da “Il Tirreno”, 8 maggio 1958.

…..Capacità di introspezione e la stessa consapevolezza del proprio lavoro porteranno il Marchegiani a conclusioni felici, meriteranno, siamo certi, l’attenzione della critica più seria nell’ambito dell’astrattismo.
Marcello Landi da “Giornale del mattino”, 13 maggio 1958.

….. intento a codificare in pensieri solitari: anche qui i titoli dei lavori sono più che mai significativi: “Mistico distacco”, “Ed è vano ch’io evada…”, “L’infame” stanno a significare che il pittore non sa o non vuole completamente staccarsi da un suo mondo di rapporti diretti con l’oggetto…….
Graziana Pentich da “La Fiera Letteraria”, 19 aprile 1959.

…..insiste ancora sul motivo mistico ed intimista dell’introspezione tesa alla scoperta finale della sua e della comune esistenza. Motivo che è esternato in superfici uniformi di tonalità brune, sulle quali si ergono in rilievo dei motivi circolari che si slargano e chiudono…..
Maria Luisa Bavastro da ”La Nazione Italiana”, 5 maggio 1959.

Mario Berti, Ferdinando Chevrier ed Elio Marchegiani, paladini dell’astrattismo labronico, noto trinomio che fa parte del gruppo Numero, dopo i recenti successi di Palermo, Monreale, Firenze e quelli d’oltralpe: Siviglia, Malaga e Valencia, sono con le loro opere alla Quadriennale Romana.
“Giornale del Mattino”, 11 novembre 1959

Anni 60

…..si propone una sintesi in uniche superfici percorse da apparentemente  leggere brezze di linee e variazioni tonali, che assommandosi infine, innervano il quadro e ne compongono il peso…….con questa pittura non provoca colloqui facili ma determina ripensamenti e meditazioni…….
Walter Martigli dal catalogo 1° mostra Nazionale di pittura Contemporanea Città di Marsala, 1961.


…..elabora materie in sé preziose, crea quasi icone magiche: si muove, sul fondo barbarico di ori, il groviglio di una diversa materia, vitale e instabile…….
Franco Russoli dal catalogo mostra Gruppo “Il grattacielo”, Galleria Falsetti, Prato, 1963.


…..eccoci dunque immobilizzati, fissati sulla tela, anche noi oggetti tra tutti questi altri oggetti che sono venuti a violentare le tele-spazio di Marchegiani…….Quando dopo aver fissato una camicia con il vinavil sulla tela e dopo averla vestita di un papillon, di gemelli ed un attaccapanni, la copre d’oro per farne una bandiera, sarebbe utile di sapere che cosa ne pensa la camicia. Ma è altrettanto utile di sapere che cosa ne pensano coloro che non hanno la possibilità di ragionamento della camicia, cioè gli altri, noi, i prigionieri-spettatori-oggetti…
Jaques Kermoal, Livorno, Aprile 1964.


Ora la pittura canta e la musica vede e l’occhio “sente e parla”… Quest’occhio guarda all’arte recentissima e immediatamente futura…….
Sylvano Bussotti, da “Discoteca” n.59, Aprile 1966.


Le opere di Marchegiani costituiscono anche uno “spettacolo” però uno spettacolo realizzato spontaneamente dall’intervento della macchina, dove l’elemento POP s’allinea abilmente alle costruzioni meccaniche in maniera di offrire al pubblico (con la manipolazione di una serie di pulsanti) la possibilità di creare delle conformazioni cinetiche descrittive di una storia breve e sorprendente…….
Gillo Dorfles, da “L’Oeil” Poesie visuelle et art plastiques Litteraires en Italie, Paris, gennaio 1967.


…..Marchegiani ha capito che l’homo tecnologicus non è un uomo nuovo, è soltanto l’uomo di sempre conscio però della sua totalità: è l’homo faber (perché Marchegiani costruisce pezzo a pezzo le sue macchine, è il falegname-elettricista-fabbro delle sue idee), è l’homo sapiens (perché Marchegiani aggiunge i suoi cento granelli di docta follia), è infine l’homo ludens (perché Marchegiani è il primo a divertirsi con i suoi balocchi impazziti, gioca perfino a giocare) Solo passando per questi tre momenti può guardare al futuro, anche se è dannatamente immerso nell’oggi…. Il nuovo codice di Marchegiani approda dalla tecnica dell’immaginazione ad una inedita “immagine della tecnica”.
Maurizio Fagiolo Dell’Arco, da “Rapporto 60”. Bulzoni editore, Roma, 1966.


…..C’è il tempo-sogno (impressione, ossessione, esasperazione) nell’ “Helios” di Elio Marchegiani, ovvero l’autoritratto d’un veggente (Rimbaud o Cassandra?): occhi sul mondo, fuori del mondo, prima e dopo i mondi…..
Maurizio Fagiolo Dell’Arco, dal catalogo “La Luce”, Galleria L’Obelisco, Roma, 1967.


Elio Marchegiani ha raccolto nella sua opera “Venus” del 1965 un modello nudo…..Un effetto di straniamento nasce dalle deformazioni che il corpo subisce ad opera delle pareti dell’involucro. E’ ben naturale che le conseguenze di tutto ciò conducano, in una serie di transizioni al limite, alla pantomima, alla danza, al teatro, all’happening, tutte dimensioni in cui ci si sforza di accostare sempre più direttamente la realtà. Il vivente deve essere accolto non con gli strumenti dell’illusione, ma come realtà, come fatticità. Le impronte corporee che Yves Klein otteneva dai suoi modelli femminili nudi spalmati di blu erano una prima realizzazione di queste aspirazioni nuove…..
Udo Kultermann, “Nuove dimensioni della Scultura” Feltrinelli Editore, Milano, 1967.
Medaglia d’oro della Association Internationale des Critiques d’Art conferita a Elio Marchegiani


…..Indubbiamente Marchegiani presenta delle opere che non si costituiscono in sé come oggetto artistico, ma come stimolo, come emittenti di stimoli per lo spettatore: apre pertanto il discorso ad una integrazione di fatti visivi, cinetici e sonori….. Ecco perché l’intervento entro questa tecnologia, il portare in questa tecnologia la possibilità di essere veicolo non più di un’ipotesi di irreprensibilità, ma di un’ipotesi di esistenza reale con le sue possibilità di peccato e di colpa è evidentemente un fatto di piena positività…..
Giulio Carlo Argan, dal pubblico dibattito premi 6° Biennale d’Arte Repubblica di San Marino,
“Nuove tecniche d’immagine”, Ed. Maccari, Parma, 1967.


…..Infine vorrei suggerire l’attribuzione di una medaglia sia a Martha Boto, che ad Alviani e a Marchegiani, e vorrei insistere su Marchegiani. Colore, movimento, luce sono i mezzi della sua poetica, e non poggiano su una situazione nettamente apprensibile, perché la visualizzazione del movimento costituisce ancora un’idea sperimentale……
Robert Delevoy, dal pubblico dibattito premi 6° Biennale d’Arte Repubblica di San Marino,
“Nuove tecniche d’immagine”, Ed. Maccari, Parma, 1967.


…Per quanto riguarda l’opera di Marchegiani, in conformità a quanto hanno già detto Aguilera Cerni e soprattutto Delevoy; mi pare che essa riunisca in sé tanto certi aspetti delle opere programmate, delle opere cinetiche, che delle opere “op” quanto  certi aspetti derivati dalla “pop-art”, con un rigore ed una precisione che mi sembrano degni di un riconoscimento.
Gillo Dorfles, dal pubblico dibattito premi 6° Biennale d’Arte Repubblica di San Marino,
“Nuove tecniche d’immagine”, Ed. Maccari, Parma, 1967.


…..Progetto Mercury” e la “Minerva”  mi sono sembrati degli spettacoli affascinanti, comunque da godersi anche senza capire come nascono, così come i ragazzi di ieri (quelli di oggi sanno tutto) si godevano la loro lanterna magica o la musica marina della loro conchiglia.
Lorenza Trucchi, da “ Momento sera”, Roma, 24 giugno 1967.


…..Una volta ho fatto un esperimento: ho chiesto a Filiberto Menna di tenere un ciclo di lezioni di storia dell’arte contemporanea alle nove e trenta di sera, per vedere quale romano sarebbe uscito di casa per venire in Galleria; ebbene la sala delle conferenze che conteneva circa seicento persone era sempre gremita. Pensi che per accedervi bisognava scendere le scale, lì avevo messo un’opera di Marchegiani, la Minerva, una figura di donna luminosa inserita in una plastica che dava la sensazione di entrare in un night, così chiamavo la sala delle conferenze. Era un’opera che mi piaceva molto, anche perché avevo fatto una mostra dedicata alla luce e al movimento ed avevo acquisito o esposto numerose opere su questo tema, da quelle degli artisti cinetici del gruppo T e gruppo N…..
Palma Bucarelli, un’intervista di Micol Forti “L’avanguardia nel museo” da “Arte più Critica”, Editrice L’immagine, Molfetta (Bari), 1997.

Anni 70

Una mostra, dunque, che ha visualizzato didatticamente, in cinque settimane, l’assunto che “La Cultura è energia”…….Comunque, c’è cultura e cultura. Cultura statica: Marchegiani ha dipinto carnevaleschi ritratti di filosofi antichi. Cultura dinamica: sostituiscono quei ritratti pannelli di caucciù che vibrano sordamente se uno li soffrega. Poi la tecnologia, nella quale l’artista vuol introdurre poesia. Tecnologia come struttura: la macchina Van de Graaff che scocca i fulmini con forte odore di ionizzazione nell’aria. Tecnologia come cultura: una superficie metallica trattata coi laser e abbiamo riflessi d’arcobaleno proiettati nell’ambiente – molto bello. Infine, l’energia: l’artista ha emblematicamente scritto questa parola sulla parete. L’intuizione che la cultura è energia suona vera e stimolante……..
Tommaso Trini, da “Domus” n.497, Milano, aprile 1971.


Di recente le gomme sono diventate triangoli, figure geometriche fantasticamente palpabili, dagli angoli acuti, però capaci di ferire.
Giorgio Cortenova,  dal catalogo “Il Segnapassi”, Pesaro, 10 febbraio 1973.


…….Il caucciù, già noto ai nostri illuministi, diventa supporto ideale proprio perché si presta a certi giochi di elasticità, trasparenza, deformabilità, come una materia viva, energetica e, “last but not least”, deperibile: è singolare comunque come anche la gomma si presti a diventare superficie per un’operazione pittorica, a farsi coprire di colore, fino ad essere completamente cancellata dal bianco. Dalle gomme bianche, per associazione, nascono muri e, successivamente, lavagne. Alla domanda “quale fu la prima superficie bianca?… “anarchicamente, monellescamente da vero livornese, Marchegiani non risponde il foglio, ma l’intonaco bianco.
Il muro, primo spazio libero, e la lavagna, primo simbolo di una cultura imposta, diventano in questa accezione una specie di coppia positivo-negativo, in cui i due termini sono destinati a sposarsi e respingersi per sempre…….
Adriano Altamira,  dal catalogo “Della falsità”, Istituto di Storia dell’Arte Università di Parma, Aprile 1974.


…….Le sue gomme sono montate su solidi telai di legno, hanno un color ocra, ambiguamente pittorico, anche con qualche sfumatura, ma al contrario dei quadri da guardare e non toccare sono opere solo da toccare. Sollecitate violentemente con la mano, emettono una cupa vibrazione, un suono profondo..…. esiste nelle sue opere una tensione che mi sembra notevole tra il problema della cultura e quello della civiltà. La cultura è, in questo caso, il suono che il quadro emana, e siccome non si conoscono esempi di quadri sonori, fatti per di più per essere toccati (ciò che è sempre stato severamente vietato), ecco che l’opera di Marchegiani diventa innovatrice…..
Massimo Minini,  dal Taccuino dell’avangiardia, “Brescia oggi”, 5 aprile 1975.


Queste recenti composizioni di Elio Marchegiani – su ardesia o su “muro” – indicano una nuova fase in cui la ricerca, lo sperimentalismo, sembra siano superati da un bisogno di risultato definitivo, assoluto: gli elementi – radici quasi – si strutturano in un processo di misura rigorosa, di valori pittorici, di spazi scanditi e ripetuti nei richiami con ritmo primario. C’è dunque un ritorno all’immediatezza, alle aste dell’infanzia, se il pittore non rivelasse invece una chiara coscienza critica, un lucido intervento mentale che rende l’espressione quanto più distaccata da ogni eccesso emotivo: i colori, risolti in superficie, e la linea stessa che si moltiplica perpendicolare con severo ritmo, si modulano sottili, in un risultato di chiarezza originaria anche se colta…….dando valore particolare ai supporti, alla materia decantata …..
Guido Ballo, dal catalogo “Studio La Città”, Verona, 1 giugno 1974.


…..il muro è civiltà mentre la lavagna è cultura…….egli ha calcolato quante alternative massime può ottenere moltiplicando le aste cromatiche che attraversano verticalmente il supporto, con 5 le combinazioni sono 120, con 10 arriviamo a 3.628.800, con 13 il fantastico totale è 6.227.020.800. E si tratta sempre di “pezzi unici” uno diverso dall’altro, eppure tautologicamente ispirati a un medesimo principio. Ovviamente Marchegiani non ha intenzione di ripetersi all’infinito: si accontenta di aver analizzato il problema, per apporre il suo marchio di qualità e di irripetibilità a garanzia del consumatore…….
Miklos N. Varga, “Dal muro alla lavagna”.da Gala n.70, Milano, febbraio 1975.


Nell’opera di Elio Marchegiani la relazione tra la traccia e il supporto (relazione spaziale, cromatica, materica) è rigorosamente calcolata sulla base di una progressione e sulla diversa grammatura di colore in modo che l’effetto sensoriale (la gradienza esistente tra le diverse strisce verticali) è il risultato di un dosaggio cromatico quantitativamente accertato.
Filiberto Menna, da “L’Arte Moderna”, F.lli Fabbri Ed., Milano, 1975.


…..Marchegiani, voglio dire, si è valso del singolo mezzo espressivo (da lui definito supporto) come del resultato finale d’un’operazione che avrebbe potuto essere solo la premessa per un’ulteriore manipolazione, e che è invece, già di per sé, la resultante di tale operazione. Si veda, ad esempio, la serie delle piccole tavole, ricoperte di caucciù e “dipinte” a bande progressive di bianco, (dunque “neutralizzate” nel loro fattore cromatico preesistente), fino a giungere alla tavola finale totalmente opacizzata, dove il supporto-caucciù si è trasformato (non solo in apparenza) in un supporto muro. Ebbene, con queste fasi progressive, Marchegiani ha realizzato qualcosa di ben più interessante, di chi, raggiunge, con faticose sovrapposizioni di stratificazioni cromatiche, l’antico effetto della “tela dipinta”, oggi ampollosamente ribattezzata “nuova pittura”. Ma raggiunge, invece, la dimpostazione tangibile e palese di come: “basti il supporto a fare il quadro”……
Gillo Dorfles, “Supporti” e “Grammature”, 1977, in catalogo “La grande scacchiera” Belforte Editore, Livorno,1977.


Elio Marchegiani mediante una disseminazione spaziale degli elementi e la distruzione dell’unità tradizionale del quadro: le aste policrome aprono consapevolmente il discorso della pittura a una possibile serie illimitata di segni (“il graffito elementare dell’homo sapiens ancora inconsapevole che combinando 13 segni di colore diverso avrebbe ottenuto la massima alternativa di 6.227.020.800”), ma interagiscono con la materialità dei supporti (gomma, lavagna, muro), anzi sono esse stesse materia cromatica e come tali rivendicano una loro opacità, una loro capacità di autogiustificazione…..
Filiberto Menna, dal catalogo “1.2.3.n.”, Ed. Studio Ennesse, Milano, 1978.


…..Così le sue superfici con grammature di colore di concettuale hanno soprattutto la pratica del fare. Il resto, e cioè il significante tautologico (la superficie è superficie, le aste sono aste), dipende da noi, dalle nostre facoltà di ampliare e interiorizzare (fuori da ogni metafora) l’intensa visibilità della grammatura, quale reale presenza qualificata dal lavoro.
Italo Mussa, “Fare per far pensare” dal catalogo Sala Comunale d’Arte Contemporanea, Alessandria, 1978.


Una conchiglia incastrata nelle pareti bianche della galleria Soldano in corso a Porta Ticinese, insieme a poche altre, fossili e non, piccole e raggruppate in fila, o grandi e solitarie, sono il frutto del lavoro di Elio Marchegiani sul tempo. Con Autonomia del tempo, questo il titolo della mostra aperta fino a metà novembre, l’artista si propone di segnare, quasi a firmare il tempo, servendosi delle lievissime sporgenze, delle tenui sfumature di colore, dal rosa al grigio, al verde chiaro e crea con le forme, antiche conchiglie, quasi, interpunzioni nello spazio vuoto e silenzioso della galleria, un’atmosfera magica.
Marchegiani proviene da esperienze artistiche diverse, ma nel suo lavoro c’è sempre una costante, un’attenzione particolare, quasi fisica ai materiali con cui opera di volta in volta, alla loro sostanza.
Luisa Somaini, La Repubblica, martedì 14 novembre 1978


…..Se guardiamo una “grammatura d’oro – supporto lavagna (1977) o un “aurogramma su pergamena” (1977) ci accorgiamo quanto la qualità di questo lavoro si differenzia da altri: non esiste più la superficie come “finestra” in cui guardare nell’animo dell’artista, ma un piano denso corposo, costituito da materiali che vogliono dare un’immagine materiale di sé, renderci certi della loro esistenza come fatto fisico e mentale, la sovrapposizione delle grammature di colore, crea una vibrazione cromatica che non è solo il risultato di tale operazione, o di una sintesi operata dall’occhio, ma viene dal movimento fisico della materia: una fisicità che diventa visione sensibile e motivata della realtà.
Marisa Vescovo, Il lavoro di Elio Marchegiani: ovvero “Fare per far pensare”, “Il Piccolo”, Alessandria, aprile 1978.


…..La scelta non è mai una sintesi dichiarata a priori da questo attento ricercatore, è invece il frutto di una lunga serie di prove, chiaramente proposte fin dal 1971 con la “gomma” definita nei suoi caratteri essenziali di tattilità e di elasticità; (altre materie congeniali a Marchegiani sono l’oro, l’argento, l’intonaco, la pergamena, il plexiglas, e soprattutto la lavagna). Ora di fronte a un’opera tanto ricca, aperta alle più elaborate soluzioni, in virtù di un metodo, in cui la ragione e l’esperienza si legano in unità indissolubile, ogni confronto con gli innumerevoli pretesti di gran parte della categoria, che comprende gli operatori estetici, si conclude a favore della fantasia creatrice e della coscienza storica di Marchegiani, uno dei pochi decisamente e razionalmente impegnati…..
Giuseppe Marchiori, dal catalogo Galleria “Due Torri”, Bologna, 1978.

Anni 80

Estroso e atipico protagonista della ricerca d’avanguardia Elio Marchegiani ci propone, in contemporanea, due importanti spunti per riflettere sul suo lavoro. Il primo è la personale allo Studio Santandrea di Milano, centrata sulla recentissima serie di “specchi di pelle”. Il secondo è l’antologica “Rapporti referenziali” ospitata dalla Sala delle Esposizioni di Reggio Emilia. Come si presenta, dunque, la ricerca di Marchegiani? Innanzitutto, come un’analisi stravolgente dei connotati storici e culturali dei materiali che utilizza (la pelle, appunto, e poi l’oro, la pergamena, la lavagna, l’intonaco, la gomma) che ne eccita le più intime possibilità autonome di produrre bellezza. In secondo luogo, come pratica rigorosa, artigianale, di strutturazione geometrica delle immagini, che attraverso interventi elementari e discreti – ma sempre carichi di allusioni divertite e fuorvianti – crea un ricco gioco di rimandi psicologici tra il pensiero penetrante e inquieto dell’artista e gli strumenti materiali impegnati. Ne nasce un itinerario sperimentale estremamente variegato e radiante, che fagocita e riproduce significati a getto continuo, e che pure sa trovare sempre una precisa e calibrata formulazione linguistica, di estremo nitore formale.

Flaminio Gualdoni, Eccita la materia da “Il Giorno”, Milano, 31 maggio 1980.


…….Come il viandante, Marchegiani si traveste e nel contempo non dissimula la parentela con il traditore; ama le falsificazioni. Sonnambulo, vive gli spostamenti, le condensazioni del sogno; porta la maschera, ma sa che la maschera non nasconde nulla e che il dietro della maschera non esiste. Egli può riflettere sull’Esser-ci e orientarsi tra gli eventi che non sono né veri né falsi; solo, simulazioni e dissimulazioni che ti implicano, come si dice oggi, nella sfasatura tra il segno e il senso…….E’ convinto che tra le condizioni dell’arte ci possa essere l’errore: ecco che si capisce non solo la sua erranza, ma anche il suo falsificare l’Aleph di Cantor: un punto, una condizione dalla quale ogni cosa che ti accade sia immediatamente spiegabile…….

Gino Baratta, Ailleurs et autrefoi dal catalogo “Mens agitat molem”, Casa del Mantegna, Mantova, 1981.


…..Basta pensare alle stupende energie fisiche  e mentali sprigionate nelle “gomme” dei primi anni settanta, o alla misura spaziale delle successive “grammature di colore” o meglio ancora all’indagine sulla “pelle” e all’Aurogramma su pergamena: opere in cui Marchegiani spinge a fondo il rapporto tra analisi del linguaggio e sogno della materia che a quel linguaggio consegna ogni virtualità d’immagine, ogni suo desiderio di differenza e di scarto…….

Claudio Cerritelli, da “Le Arti News” n.4-5, Milano, 1983.


 …..Dal fascino della superficie bianca e della sua allusiva verginità – quante case del sud dipinte di calce e di intonaco -, facilmente Marchegiani passa al suo opposto, secondo la mimesi ed il mascheramento, fino a percepire la prima traccia dell’uomo-bambino (artista?…) che si identifica con il reperto ed il mito, coinvolgendo quel fascino alchemico che diviene religione e rito, e poi la stessa ricerca e la sua unità di lettura/misura.
Senza dubbio siamo ad una sofisticazione sottile che rasenta lo spaesamento. L’incontro con l’ombra, ormai è divenuto fatto concreto, e l’immagine come evocazione si rende tangibile nel presente, superando ogni caratteristica di accadimento lontano e di pittura del ricordo. Ed il supporto – costruito, lentamente, a punta di spatola, con la pazienza manuale di antichi intonaci – ri/prende improvvisa vitalità, nello specifico di questa ultimissima connotazione barocca che appartiene a Marchegiani con tutta la voluttà della sorpresa. La sinopia, allora, abbandona la sua stessa incertezza cromatica e si identifica con una nuova nascita ed un simulacro: l’immagine di ciò che esiste nel suo aspetto totalizzante ed in quello ancora più particolare del singolo uomo – in cui assume la consistenza dell’ombra e forse della sua stessa ombra – il modello è soltanto un  accidente!

Toti Carpentieri, Elio Marchegiani o del barocco  presentazione in catalogo Galleria l’Osanna, Nardò, 1983.


Come a fare precipitare verso la sua essenza di geometria la secolare tradizione italiana i raffinatissimi “affreschi su tavola” di Marchegiani, distillazione del piacere dell’immagine e di quello del dipingere riannodano poeticamente le sorti dell’avanguardia al dialogo con la storia, quasi a sancire che ogni atto estetico, ogni gesto formale non può prescindere dalla decantazione dei sedimenti che costituiscono, nella sua complessa e dinamica stratificazione, la storia dell’arte.

Sergio Troisi, Tutti i colori dopo l’avanguardia da “Il giornale di Sicilia”, Palermo, 27 settembre 1985.


…..Il suo tempo, significante e metaforico, ma mai simbolico si conferma semmai al ritmo della sinestèsi, relegando alla memoria molteplice la riparazione agli oltraggi del tempo. Ma la memoria possiede in sé un’estensibile qualità eufemistica; nel mitigare il tempo, la memoria attraversa il valore di un anti-destino, elevando a proprio antagonista il tempo stesso. Nella sua lontananza mnemonica l’uomo-scimmia rincantucciato in un angolo de la stanza del tempo (1989) assiste al sinodo di ore non segnate dal numero, scandite dal ticchettio perpetuo del possibile. I numeri non esistono più, l’iper-spazio della fisica è divenuto uno spazio psicologico dove l’immaginazione avanza lungo la griglia di quel “coesistenzialismo” intuito da Leibniz dove le precedenze temporali si cancellano, mentre le ore rintoccano la continuità del convenzionale.
Se spazio e tempo divengono in questa “stanza del tempo” una semplice convenzione, il presente (l’uomo-scimmia), è il perpetuarsi dell’ironia dell’incognita, quella che niccianamente fa di ogni uomo una X….

Giuditta Villa, Spazio Tempo e Utopia da “Segno”, Pescara, maggio 1989.

Anni 90

Trovare una definizione per il lavoro di questo artista è davvero un’impresa difficile, anzi posso dire davvero una straordinaria capacità di percepire le potenzialità artistiche nelle “cose del mondo”, hanno portato Marchegiani a passare con disinvoltura e senza timore di ambiguità (o meglio di moda) dall’Informale, all’happening, al concettuale, alla sinopia. Marchegiani espone, insieme ad alcuni lavori storici, le opere recenti: luoghi d’incontro dell’artista (dell’arte) con alcuni personaggi famosi ( Oscar Wilde, Eintein, Picasso, Duchamp). La sottile ironia che pervade queste opere funge da elemento perturbativo nel momento in cui ogni elemento sembra aver trovato la giusta collocazione , il giusto significato, basta un colpo di mano per cancellare qualunque “equilibrio” (i ritratti, disegnati su tavole di ardesia, infatti, non sono fissati): l’arte ha senso per le esigenze verso cui si apre e non per la maniera in cui riesce a soddisfarle.

Cecilia Casorati, da “Contemporanea” n.19, estate 1990.


Elio Marchegiani, lo conosco da molto tempo e sempre sono stato molto sensibile alla sua posizione estremista e quasi filosofica. Dal caucciù, alla pelle, alla tela, al legno, tutte le superfici che lui considera come luogo d’intervento sono quasi dinamizzate da una vibrazione ambigua e nello stesso tempo affascinante; come se ci fosse la presenza immateriale di un altro, un essere vicino a lui, marcheggino, paladino dell’infinito.

Pierre Restany, dal catalogo “Oggetti d’uso e d’incanto”, Centro Domus, Milano, 1991.


… Penso che nei processi creativi di Marchegiani serpeggi una sorta di spirito umanistico che, in anni turbolenti per l’arte, ha scelto di guardare al gesto dell’artista, al suo profondo significato storico con la piena consapevolezza del presente. Voglio dire che se al primo impatto le sue opere degli anni Sessanta appaiono sovraccariche di una ironia, esse celano l’intensità di una proposta etica. La lapide a James Bond  assume il significato di un’azione destabilizzante di una moda pericolosa: è stato, afferma l’artista, “il tentativo ironico di seppellire subito l’immagine …Bond avvolge intorno a se una ideologia  reazionaria per cui non si poteva fare a meno di pensarlo morto”. E’ in altri termini riproporre l’arte quale mezzo di conoscenza, continuando ad interrogarsi sui rapporti, sulle prospettive che essa ha, sulla finalità, sul suo difficile coabitare nella sfera di un mondo sempre più tecnologizzato…..

Massimo Bignardi, Lo spazio delle trasgressioni, catalogo Elio Marchegiani  “Art Now”, Capua, 1992.


……Le opere realizzate in questo primo scorcio degli anni Novanta, in particolare le nuove Grammature di colore, sono esposte a Palazzo Fazio. Questa volta l’ironia si mimetizza tra rigide scansioni, per esplodere in un titolo come Autoritratto in oro, o in una variazione di ritmo. Il colore ha un peso. Una sua grammatura, ha un peso nella memoria, nel linguaggio. Le “grammature” sono unità linguistiche concatenate tra loro razionalmente, ma a volte un’emozione, un’impennata le fa trasgredire. La geometria non crede mai in se stessa. Così come l’occhio è spesso vittima di inganni: Dicroico, con i suoi colori virtuali su intonaco, ci induce a non credere in quel che vediamo ma in ciò che pensiamo. E l’artista deve pensare i colori, prima ancora di realizzarli……

Enzo Battarra, Lo spazio della trasgressione, Segno, Sala Editore, Pescara, marzo 1993.


…..Quando, di fronte a uno specchio di pelle rosa mi accorsi di quanto “Settecento” vi fosse nel cogitato concepire di Marchegiani, parlandogliene nacque la possibilità di questa esposizione. Elio Marchegiani non era nuovo a un tale tema, nella sua ormai lunghissima, proficua attività vi era stata la realizzazione di un’opera cardine come Body Milk del 1964…
…..L’operazione di Marchegiani racconta di un preciso gusto e attraversamento culturale, ma è sempre pronta a sovvertire tutti gli elementi del racconto ai fini di un preciso dislocamento degli elementi in campo e, soprattutto, dei loro significati. Egli assume tutte le componenti settecentesche possibili: la vanità, l’intrigo, il gusto per i meccanismi e gli artifici, l’inizio di nuove avventure legate a una diversa coscienza del viaggio, le scoperte archeologiche, la razionalità, e quello spirito divertitamente (non solo serio) enciclopedico della creatività. Le assume, le miscela, aggiunge componenti tutte sue e di altri tempi, ma con alcune precise “affinità”, corregge con l’ironia e si pone a edificare l’opera.
Che Secolo, il Settecento… E cos’altro ci racconta Marchegiani, a proposito dell’opera 1798 ? “E’ l’anno della Battaglia delle Piramidi…Desaix, generale napoleonico, diviene il sultano Buono. Il buono della conquista coloniale nello stesso secolo della rivoluzione 1789 (divertiamoci a cambiare le cifre)… L’oggetto è, ma non soltanto, un monumentino alla conquista coloniale, raffinato come certe conquiste…” E, da quella campagna coloniale, come sappiamo, nacque tutto uno stile Retour d’Egypte…….

Arnaldo Romani Brizzi, presentazione in catalogo Raffinato Rosa 700 – 007, “Il Polittico”, Roma, 1994.


…..L’obbiettivo della sua ricerca artistica consiste, nell’esigenza di attrezzare il fruitore ad una percezione problematica del reale, come accade nell’opera esposta “Nel millennio di Giotto e di Hiroshima, 1992” in cui l’epoca storica millenaria è segnata e descritta dialetticamente, nel suo esordio e nella sua fine: il cerchio perfetto, manuale e istintivo di Giotto, come epifania della potenza creativa dell’uomo e dei suoi ideali di bellezza, si congiunge con le scarpe da tennis consunte, quale segno dei resti degradati della vita dell’uomo d’oggi, su cui grava l’incubo atomico: dalla mitologia dell’arte, nella sua perfezione umanistica, al simbolo della trivialità e, insieme, della tragedia della civiltà contemporanea, quando l’uomo convive con la possibilità di distruzione della specie e “cammina” sul baratro, in una condizione di contraddittoria e postuma sopravvivenza.

Otello Lottini, la poetica della materia da “Pittori a Teatro -Teatro Argentina”, Roma dicembre 1993 gennaio 1994.


…..La mia bandiera del 1964 rappresenta un insolito e autentico autoritratto, poiché si fonda sulla rappresentazione di un proprio indumento, la camicia dello smoking, congelato da un oro inesorabile e reso ironico da un appendiabiti di ferro posto proprio sul cuore….
…..Ciò che, però, ritrova in pieno lo spazio dell’esperimento da “scienziato pazzo” è il fulmine che elettrizza oggetti e persone attraverso un meccanismo interno di inquietante rudimentalità: una colonna nera alla sommità della quale si trova una sfera di metallo. Solo attraverso la corrente elettrostatica cresce il movimento e si genera un vero e proprio campo magnetico, energia che si libera, coinvolgendo, se si vuole, anche lo spettatore…..

Vittoria Coen, Till the rose – time will be over Brunnenburg,  in “Tema celeste” n.61, Milano, marzo –aprile 1997.


Re Mida trasformava in oro qualsivoglia cosa toccasse con mano, così Marchegiani traduce in enigma, o meglio in enigmatica energia dello spirito i materiali della sua espressività…..
Vi son carte, e son quelle che più amo, in cui Marchegiani compie, per miracolo del linguaggio, il sovvertimento delle regole della superficie, sian esse dovute ai processi simulatori della rappresentazione, sian esse derivate dalla pragmaticità della prassi. Mi riferisco, e trascendo dall’iter delle datazioni, ad un segno che evade dalla mappa di base e, anziché distendersi sulla superficie, si aggancia per così dire allo spazio, o meglio ancora aggancia, fondandolo, lo spazio stesso in quanto entità psichica dell’essere e fisicità impalpabile della realtà.
La stessa cosa accade quando il segno si divincola dalla matassa raggrumata della materia e s’inerpica a piantare il suo “uncino” nel polmone d’aria di una spazio improbabile ed allusivo…… Nessun naturalismo, nel linguaggio di Marchegiani, che s’identifica subito nelle premesse storiche dei simbolismi, nei turbati territori del sogno, dove i sortilegi dell’anima traducono in pura energia la sostanza inerte della materia. Proprio la materia sembra venire sottoposta allo stimolo del calore, ai tepori malinconici dell’anima, al gelo dei risentimenti, alle pressioni dei processi alchemici, che ne disciolgono l’inerzia mettendo in moto il meccanismo di un’iperbolica trasformazione. Se Re Mida trasformava in oro qualsivoglia cosa toccasse con mano, così Marchegiani traduce in enigma, o meglio in enigmatica energia dello spirito, i materiali della sua espressività.
Perciò ogni suo lavoro, carta, tela, gomma o performance che sia, appartiene alla tipologia dell’evento, alla magia del rito: ad un Oriente che rilancia nel trionfante chiarore dell’alba l’inesausta agonia del tramonto.

Giorgio Cortenova, E.Marchegiani : trionfi ed agonie dell’Oriente in Coevit III Civitas litterarum, 1999.

 

Anni 2000

Nel 1973 ebbi la fortuna e l’occasione di essere invitato a scrivere un libro sull’opera di Elio Marchegiani che presentammo una prima volta a Livorno da Belforte, il nostro Editore. In quel libro alle pagine 155-159, mostravo il lavoro di Elio sulle e con le gomme, con due immagini alle pagine 59 e 61. Illustravo, tra l’ironico-scientifico e l’analitico-critico, il senso di questa operazione con il caucciù. Nella parte chimica spiegavo la composizione di questa materia, vantandone pregi e difetti; ma, soprattutto, spiegavo come interpretare il lavoro sulle gomme all’interno del percorso di Elio (credo di essere l’unico, o quasi, ad averne evidenziato la logicità ferrea del processo evolutivo, al di là di quel che sembra apparire, gratuito ed occasionale).
Queste gomme hanno dato all’artista delle belle soddisfazioni, dato che sono state esposte in occasioni e luoghi strepitosi, tra cui la Galleria Apollinaire (Concerto per gomma solista, 1971) e una Biennale di Venezia (1972), tanto per fare qualche esempio; ed hanno dato pure all’uomo altrettanto belle soddisfazioni, dato che sono state anche  richieste dal mercato. La piattezza della gomma, la sua duttile disponibilità, la sua sonorità… Elio ha sfruttato tutte le proprietà della gomma…..Torniamo alla mia presentazione chimica; ad un esperto appare subito che si tratta di prodotto di facile ossidazione; per preservarlo da tale fenomeno, occorrerebbe proteggerlo, per esempio in ambiente privo di aria, oppure ricoprendolo spesso di talco o… Ma chi è quel collezionista disposto a simili mezzi? Certo, allora non lo misi in evidenza, ma la gomma è destinata ad una fine umiliante, terribile, inarrestabile: la consunzione dovuta all’ossigeno contenuto nell’aria…..E così, per la prima volta nella storia dell’arte, delle opere sono morte. Oh, non nel senso del “morte dell’arte” cui tanti artisti e critici hanno fatto riferimento nei decenni, no! Nel senso proprio di un’opera che muore, un’evoluzione lenta ed implicita nel materiale stesso…… Lui, di risurrezione, s’è già occupato, per esempio quando, dopo le gomme, è tornato alle grammature di colore, sulle lavagne e sui muri, lo fece per far risorgere il colore, il pittore tradizionale, il pittore rinascimentale attento al fatto cromatico. Ora, di fronte a queste mummie, Elio doveva trovare il modo non di arrestare il processo, ma di stravolgerne il senso, facendolo diventare opera. La risurrezione delle gomme morte verso una opera nuova! Così è, così non poteva che essere: l’Elio che ragiona ed inventa; prende i brandelli mummificati, li nobilita a forme d’arte, li incolla al caucciù (ironia della sorte, vita dalla morte, fenice organica) a forme di plexiglass, li rifà opera.Opera nuova, in sé e per quel che ERA, ricordo perenne dello scopo per cui nacque.

Bruno D’Amore, La morte / La resurrezione della gomma, 2001.


L’antologia dei risultati del suo lavoro, appare modulata su versanti diversi che non disdegnano né la sperimentazione, né la tradizione, componendo in una sorta di camera delle meraviglie, tutto quanto gli sembra degno di nota, di sottolineatura, di messa in scena. Marchegiani è un grande viaggiatore, quindi porta inscrittta  nella sua mente la mappa del suo mondo ideale, fatto di luoghi, pensieri, volti, che vengono piegati ad un fine mentale, concettuale, di cui la materia non è il quid occasionale, ma il quid in pienezza, senza la quale svanisce l’opera e con essa il fantasma della mente.

Francesco Gallo, Siciliani protagonisti del novecento in “Origini”,  luglio 2001.


“… Mario, Mario dagli occhi azzurri, curiosi, Mario che tenti di ascoltare il mare poggiando sull’orecchio il guscio vuoto di una noce di cocco, che guardi all’arte con la giocosità e l’innocenza della tua tenera età…….Io ti racconterò una vecchia storia… Vivrai così, nel sogno, un’avventura, correrai a piedi nudi nella foresta dell’io, anfanando sul bordo della Luna, attraverso una piramide aperta, navigherai sulle acque ostili della conoscenza, sfuggendo ai mille, perigliosi, flutti dell’ovvio. Crederai di essere solo, ma al tuo fianco, sempre, ci sarà una guida che, senza che tu lo avverta, diraderà ogni nebbia, calmerà le onde alte e schiumose, placherà la tua sete. Ed alla fine di questo viaggio, affascinante ed infinito, troverai, ad attenderti, un sorriso: l’ironico, affettuoso sorriso di un bambino come te, che, prendendoti per mano, ti condurrà, dolcemente cullandoti tra le braccia della ragione, sull’isola dell’ingenuità e dell’assoluto…”
Elio Marchegiani, rimane quel bambino discolo e trasgressivo che è sempre stato: sguazza nelle sue provocazioni con la coscienza di chi sa di avere ragione ed ha pure l’improntitudine di lasciare allo spettatore l’illusione di poter decidere di interpretare da solo..… E’ un uomo di cultura profonda e raffinata, che persegue i suoi valori di sempre e li realizza in modo sempre diverso: la sensazione più forte che provo davanti al suo lavoro è di vederlo, con gli occhi vispi e luminosi d’intelligenza, mentre pratica continue scorribande nel territorio della storia, della letteratura, e ce la illustra, senza banalizzare niente, ma riuscendo ad evidenziare con la esatta misura il senso delle cose, delle idee, della musica: spero di non fare torto a nessuno, ma credo che Marchegiani sia uno dei pochi artisti a possedere quello che, in tutta modestia, chiamo la visione circolare della cultura che consiste nel saper intrecciare coerentemente le idee che emergono in ogni campo e coniugarle in una sintesi sufficientemente esplicativa: è questo  che rende possibile le “Grammature di colore”, che sono allo stesso tempo figlie e sorelle delle “Sinopie”, che rende memorabile una personale come “Fare per far pensare”, nella quale le scansioni del tempo attraversano in uguale misura la vita di Wilde, di Einstein e di Duchamp, il passo  di una gamba sul bordo della luna….. le aste su ardesia sono l’attesa fra un tempo che non scorre ed un orologio con una sola lancetta che batte i secondi, e quando è parallela all’asta di riferimento annulla se stessa…..

Giorgio Berchicci, Marchegiani, in Terzoocchio n.104, Ed.Bora, Bologna, ottobre 2002.


…..Marchegiani è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso nel caos contemporaneo e per varcare di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove ed il mistero lontano,  come quello del recente “Viaggio in Cina”, che muove la creazione e che spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare ogni istante.

Riccardo Ferrucci, I sogni alchemici di Elio Marchegiani, in catalogo “ventuno grammi – le grammature dell’anima”     
Matithyà servizi per l’Arte,  Pontedera, 2005.


….. Oggi Marchegiani mi sembra sempre meno interessato a partecipare al banchetto delle fatue novità dell’arte, deve fargli un certo effetto constatare di essere precursore di molti attuali appetiti nell’ambito delle estetiche tecnologiche, lui che nel 1969 usava i primi led e il laser. Eppure non rinunciava a costruire il colore, a indagare le sue variazioni di peso e di luce trovando qualche anno dopo, nel 1973, una formula neppur troppo scontata che apriva il fortunato ciclo delle “grammature”. Esse sono presenti anche in questa recente fase della sua eclettica avventura, in opere come “Ritorno al bersaglio” dove l’innesto di un piccolo solido geometrico di cristallo, al  centro della superficie, sprigiona colori luminosi e misteriosi. Misteriosamente sfaccettati e capaci di convincere la pittura a misurarsi con il loro bagliore imponderabile, a dialogare con il respiro immateriale di  questi insoliti impulsi vitali.
La sensazione è che questo dialogo tra colore affrescato e cristallo monocolore sia una ulteriore sfida per scuotere l’inerzia mentale dello sguardo che i processi di anestesia della comunicazione vanno premeditando. Marchegiani intuisce queste perversioni dell’attualità, la sua mente critica comprende che questo serve a togliere energia al mondo, perché tutto sia pianificato e indistinto: ma l’artista non teme di scollegarsi dal libero arbitrio dell’immaginazione.

Claudio Cerritelli, Cristalli di colore, risvegli di luce, 2007.


…..Se la tecnica è quella del prelievo di forme, immagini e oggetti quotidiani che attraversa nei primi anni Sessanta New Dada, Nouveau Réalisme e infine Pop Art, il riferimento a Dada e alla sua azione liberatoria e sovvertitrice di attese e convenzioni è troppo puntuale per essere casuale; e, tra l’altro, tra i movimenti di quegli anni il New Dada è l’unico che muova direttamente proprio dall’esperienza informale. Sebbene sia forzato volere definire una precisa traiettoria di convergenze o anche una dichiarazione di appartenenza, proprio dadaAdada indica la volontà di individuare, nell’ambito delle avanguardie storiche, quella irricondicibile a qualsiasi prontuario formale e stilistico, con cui si può essere coerenti soltanto – e le due azioni sono complementari – reinventandola e quindi negandola. Lo sberleffo di dadAdada investe quindi, per primo, proprio ogni ossificazione della lezione anarchica degli esuli del Cabaret Voltaire….. Nel loro elementare funzionamento di apertura e chiusura, le serrature alludono certamente a una dinamica di tipo sessuale, ma questo aspetto, in fin dei conti, è secondario: più importante semmai è ciò che viene negato alla vista e alla conoscenza, la volontà di escludere e secretare, il sentimento di esclusione che ogni parete cela, ogni porta sbarrata (archetipo del resto della narrazione fiabesca) porta con sé. Che si tratti quindi di un discorso sul potere è palese nell’opera che per molti aspetti conclude questa serie, sempre nel 1964, Can can censura: dove sull’alloggio per la chiave e sulla serratura sono applicate le immagini di danzatrici belle époque in un gioco compositivo scandito dalla ripetizione della forma rettangolare, e in cui l’inserimento delle scritte pubblicitarie, della passamaneria e delle lettere tipografiche a rilievo (l’assonanza fonetica tra can can e cen–censura mette in scena una variante ironica del paroliberismo di matrice futurista) procede per accumulo di elementi significanti sull’universo femminile e suoi stereotipi. Azionando la chiave, risuona il celebre motivo del ballo di inizio secolo; ma quella giocosità liberatoria è fittizia, il meccanismo è una coazione a ripetere, la trasgressione apparente è in realtà una concessione dove tutti i margini d’azione sono previsti e preordinati. Il gioco è serio, e rivela una realtà plumbea come i riflessi emanati dalla lastra di supporto….. Un’opera come Nel millennio di Giotto e di Hiroshima (1992) riveste in tal senso un carattere esemplare degli intenti perseguiti da Marchegiani nel periodo – sino a oggi – della sua attività che coincide con il passaggio di secolo: sul fondo bianco (il colore dominante in questi assemblaggi compositivi) la perfezione geometrica del cerchio che con Giotto, secondo la vulgata storiografica, annuncia l’ideale antropocentrico, convive al suo estremo temporale con un paio di scarpe da tennis, collocate lì dove si troverebbero i piedi dell’uomo vitruviano nel celebre disegno di Leonardo; l’utopia intellettuale dell’umanesimo si eclissa nelle scorie produttive degli oggetti quotidiani….. in Ideologia come bolla di sapone (2002) un bucranio funge da base a una distesa di piccoli teschi da cui si libera, evanescente ed effimera, una bolla di sapone. E se C’è ancora chi ride (2002), da quella risata formata da dentature di squalo capovolte e ordinate in modo decrescente è necessario guardarsi: con tutta probabilità nasconde una trappola letale…..

Sergio Troisi, Tempi di vita del fare per far pensare presentazione in “Linee di produzione 1957-2007” Edizione Carte   
Segrete, Roma, 2007.


… Ritrovate protagoniste dell’ultimo decennio creativo sono invece le poetiche dell’objet trouvé: dentature di squalo, maschere antigas, farfalle e scarabei come testimoni muti e imbalsamati di una modernità ostile e difficile da raccontare.

Davide Lacagnina, Exibart.com, aprile 2007.


In un percorso eclettico come quello di Elio Marchegiani, le “Grammature di colore” determinano un momento e ricoprono un ruolo assolutamente centrale,  non solo perché sono realizzate nel cuore della sua produzione, che gli auguriamo ancora lunghissima e fertile, ma perché rappresentano una fase del suo pensiero operativo – in Marchegiani il pensiero non è mai disgiunto da una sua qualche immediata trasposizione in oggetto… – che in grande misura raccoglie ciò che era stato fatto prima, lo analizza e lo rilancia con una nuova consapevolezza nel futuro …..E’ l’artista che si dà il linguaggio, che pone i limiti della sua azione, che stabilisce le relazioni tra gli elementi costituivi del lavoro, ma è questo insieme di regole – arbitrarie fin che si vuole, ma regole, come quelle ferree dei giochi dei bambini – che deve resistere alla verifica, che deve essere verificabile, che non deve mostrare falle linguistiche, che deve essere assolutamente coerente con se stesso. Per certi versi, fallire in questo senso è ancor più doloroso che fallire nel dimostrare scientificamente una tesi: qui si può attribuire il fallimento ai fattori esterni, alla natura, alla mancata interpretazione degli indizi offerti dal reale, là – nell’opera d’arte – poiché tutto promana dalla volontà dell’artista, fallire sarebbe una catastrofe immane. Catastrofe individuale, che non tocca nessuno se non il suo unico demiurgo, ma immane, perché senza scampo, senza giustificazioni. E’ una vita che Marchegiani gioca con la verificabilità delle sue opere.

Marco Meneguzzo, La verifica certa, Edizioni Giraldi, Livorno, 2008.


…..Non ci stupiremo che un artista tanto capace di escogitare titoli coinvolgenti, solleticanti o spiazzanti per le sue opere abbia anche saputo riassumere la sua poetica in un motto fulminante, sintetico quanto eloquente. Fare per far pensare è da tempo – da sempre, direi – la divisa, lo stemma araldico che Marchegiani potrebbe far incidere sulle architravi del suo atelier, come Montagne aveva fatto incidere motti greci e latini su quelle della biblioteca del suo castello. Fare per far pensare: a conti fatti, una bella definizione, oltre che per l’arte di Marchegiani, per l’arte in genere, che non è pensiero ma suscita pensiero, che è fare anche nel senso più pieno e umile  della parola fare, fabbricare, ma mette in contatto l’artefatto con un altro modo. Torniamo alla differenza tra le cose che sono fatte ma non fanno pensare (e infatti non hanno titolo) e le opere che sono altrettanto cosa fatta ma fanno pensare e sono, come diceva Kant delle idee estetiche, rappresentazioni dell’immaginazione che danno luogo a pensare molto, senza che nessun pensiero possa essere loro adeguato. Proprio questo ci accade con le opere d’arte, e anche con i loro titoli. I sogni, diceva Man Ray, non trovano titoli. Ma se a sognare è Marchegiani qualche volta ci riescono.

Paolo D’Angelo, I titoli di Marchegiani, Edizioni CEDAC, 2009.


…..A differenza di larga parte dell’arte contemporanea, da Duchamp alla tecnica dell’object trouvé, ho la sensazione che l’oggetto di Marchegiani conti e scommetta sulla propria autoconsistenza: che sia, cioè, un oggetto che rimane se stesso. Anche se è introdotto all’interno di una spazialità che lo risemantizza, l’oggetto di Marchegiani resta se stesso, si ripropone tale e quale. Penso alla “Serrature” del 1963. Le serrature sono serrature, non sono altra cosa…..L’arte è semplicemente il mondo degli oggetti visto altrimenti: in un misterioso spostamento laterale, in una deangolazione prospettica che ci fa improvvisamente vedere le cose del quotidiano in una luce completamente diversa…..

Giacomo Marramao, Marchegiani e la potenza dell’oggetto, Edizioni CEDAC, 2009.


…..I quadri di Elio Marchegiani sono una sorta di immagini in movimento, secondo la migliore tradizione dell’irresistibile vocazione alla integrazione-sinergia fra pittura e musica.

Elio Matassi, Elio Marchegiani e la serialità, Edizioni CEDAC, 2009.


…..Sintetizzando direi che nel lavoro recente di Marchegiani la “nuova vitalità” collima con una nuova fabrilità. Il suo voler essere sapiens non sarebbe se Marchegiani non sapesse essere anche faber perché questa qualità fabrile non è qualcosa di accessorio, un puro strumento, ma si identifica con l’immagine….. Il fare, il finire, il saper finire, fanno sì che l’opera si presenti come un oggetto senza smagliature, senza elementi in più o in meno che possano turbare la visibilità dell’immagine che è anche nitidezza del pensiero…..

Bruno Toscano, Invenzione e artificio in Marchegiani, Edizioni CEDAC, 2009.


…tutta l’ultima serie incentrata sui fossili, su reperti zoomorfi, Marchegiani non fa che complicare la gamma delle sue invenzioni artistiche. Assemblaggi non di oggetti ma di concetti; pensieri moderni che selezionano, estrapolano e accolgono tòpoi sempre più antichi nell’esperienza dell’uomo sulla terra, fino appunto ad arrivare al recupero del fossile. L’elaborazione di ogni opera mantiene sempre inalterata la sua chiarezza esecutiva, il rigore della ricerca in una raffinatezza che non è solo scelta accurata degli elementi, precisione certosina degli incastri e delle composizioni, pulitezza dell’opera finita…..

Mariastella Margozzi, L’Homo sapiens, le materie, la tecnologia, Edizioni CEDAC, 2009.

 

Anni 2010

…..Nello studio di Pianoro, calato nel silenzio dell’Appennino tosco-emiliano, dopo quasi vent’anni ho ripercorso nuovamente il tracciato dell’esperienza di Elio: pagina dopo pagina, seguendo il filo che orienta lo sguardo nell’apparente disordine che organizza lo spazio, ricollegando agevolmente i tempi di una ricerca che, oggi più che mai, si presenta rigorosamente unitaria….. Il dato che affiora sull’immediato è la tenuta  di una vivace e pronunciata invadenza dell’immaginario, divenuta una vera e propria lingua con la quale l’artista traduce un ampio repertorio di sollecitazioni creative, accentuando, però, una disciplina che si fa sempre più rigorosa con la quale esemplifica l’impianto compositivo, riduce a pochi suggerimenti il confronto tra il corpo, ancora l’oggetto e la superficie che lo accoglie. Anche il registro oggettuale è ristretto a forme che si richiamano ad un’organicità primaria; ad esempio la forma madreperlacea del ‘nautilus’, una conchiglia la cui ‘architettura’ concava e convessa sparge sul piano pittorico una impercettibile sensuale velatura, un erotismo che non chiama in causa l’immagine bensì il senso profondo della natura. Ciò vale anche per l’impronta al positivo della gransèola che campeggia in Maia esquinado bella spoglia, un lavoro del 2008, ancora sostenuto da uno sguardo rivolto all’orizzonte lontano e primordiale della terra e delle forme viventi che su di essa vivevano. Marchegiani non smette di stupire: anche se non cede mai all’improvvisazione dell’effetto, ossia mantiene la sua esperienza nei registri di una alta qualità della pratica e quindi di una tenuta dell’artificio, la sua curiosità lo porta a viaggiare verso le profonde regioni della psiche, verso il bacino degli archetipi, interrogandosi sulla lontana origine, a ordinare il gioco immaginifico che la storia tesse nelle nostre menti. L’oggetto è ora mostrato nell’evidenza della sua fattura di elemento (corpo) sottratto alla scena delle cose nelle quali l’artista s’imbatte, ora avanzato come simbolo all’interno di una narrazione articolatasi nel tempo, come è per  Ad Illam Horam (Già da allora), una composizione di più elementi iniziata nel 2000 andata poi modificandosi. Lo spazio per Marchegiani non è più un reticolo di relazioni fra oggetti; è uno spazio dilatato all’indietro della propria storia, nella memoria, ripercorrendo e incasellando una dentro l’altra le tantissime opere nelle quali ha trascritto il senso della sua profonda identità.

Massimo Bignardi, ELIOterapia come traccia dell’immaginifico, presentazione in catalogo Le Rive di Cartaromana, Ischia 2010.


…..Con l’antologica di questo maestro italiano si è riaperta a Ischia la Torre di Guevara dove, da una finestra, pende la collana dell’astronauta (realizzata solo ora, ma pensata nel ’68) lunga 200 metri e fatta di 540 boe, “Così come Colombo s’ingraziò gli indigeni con delle collanine, pensavo che altrettanto avrebbe dovuto fare un astronauta con eventuali marziani…..un’altra personale  a Porto Cervo con una quarantina di opere …..tra cui quella del diamante prismatico incastonato nelle sue grammature di colore…..ma poi c’è anche il sorriso dello squalo “ruotando la mascella ho scoperto che anche lo squalo – in senso brechtiano – ride”.

Francesca Pini, Elio e le sue trovate, weekend.Arte Corriere della Sera, 5 agosto 2010.


…..E nell’esercizio manifesto e riproposto del “fare per far pensare” ci piace, in quest’occasione isolana, ritrovare tangibilmente le opere che hanno accompagnato gran parte della vita dell’artista e del critico, tra fondi aurei, serrature inceppate, specchi immaginari, tagli luminosi chiusi da zip nel giusto omaggio a Fontana,….. ma anche tutte le sue successive invenzioni: le gomme, le sinopie, le grammature di colore, e le recenti “Tavole private” (come abbiamo deciso di chiamarle, senza che Elio Marchegiani lo sappia), ancora una volta oggettuali, ironiche e irriverenti. Ma terribilmente vere, tra cristalli, scarabei, cornette telefoniche, nautilus, ossa animali e quant’altro, resti tangibili di una memoria che ci appartiene e che si rinnova proprio nello spiazzamento nel quale essi ci sono riproposti, attualizzandosi in quello che ci piace chiamare il nostro prossimo futuro possibile.

Toti Carpentieri, Dalla luna alla terra, Arte&Cronaca, dicembre 2010.


…..E’ ancora l’indagine sulla tridimensionalità del supporto, sul suo attraversamento, virtuale o possibile, che, dalle Serrature alle Cerniere lampo, dalle Grammature alle Belle Spoglie, sottende la ricerca della “mano identificata col pensiero”, fino alle sperimentazioni più recenti, dove “grammata” circolari si storicizzano intorno a cristalli che sventagliano luce e, nel gioco di “riflettere”, scompongono l’intorno, per ricomporlo nella geometria delle facce. E’ ancora nel fare operativo, come “fare in progress”, dove la “sintesi”, il segreto di una vitalità e di una capacità immaginifica sempre sorprendente. Non desta meraviglia allora il fatto che un’opera come Ad Illam Horam intrapresa nel 2000, non sia ancora giunta alla sua definitiva conclusione: la scimmia continua a tracciare geometrie con il compasso, come un filosofo stilita. Oggi il suo sguardo è ancora rivolto al teschio della tigre, domani forse guarderà altrove.

Salvatore Ronga, Elio Marchegiani: il lavoro sulla materia come pratica significante, Contemporart,settembre 2010.


…..Nessun materiale gli è indifferente e ogni tecnica lo intriga: passa con naturalezza dalla caricatura – vedi quelle che, giovanissimo, dedica a Hitler e Mussolini – alla pittura informale, all’assemblaggio e al concettuale; piega le gomme e illumina il plexiglass, raccoglie fossili e fari d’auto, crea campi magnetici e scatole sonore. Come un funambolo, si solleva leggero sui sentieri della storia e della cronaca e li osserva dall’alto, in una prospettiva aerea che gli consente di rimettere insieme i tasselli slegati…..ma in quest’alba confusa del Terzo Millennio, Elio Marchegiani prova ad offrire una chiave diversa. Ognuno può adoperarla come crede: per chiudersi dietro una porta di certezze incrollabili o per aprirsi all’imprevisto del presente mettendosi in gioco insieme all’artista…..

Armida Parisi, Quando il fare fa pensare, “Roma” Cultura,  Napoli, 24 luglio 2010.


…..Ottantun’anni e un’energia creativa intatta, Marchegiani, dopo l’esordio negli anni 50 in seno all’informale, è stato un precoce interprete del concettuale, a cui però ha saputo imprimere il sigillo raro dell’ironia: nelle opere degli anni 60 rendeva infatti un giocoso (e affettuoso) omaggio a Fontana con i tagli chiusi da cerniere-lampo, e con la Lapide luminosa a James Bond si proponeva di seppellire il maschismo di quell’icona del tempo…..ma si è spino anche oltre nel Fulmine, 1969-70 che, con lo schiocco ritmato della saetta che scocca tra i due poli, accompagna il visitatore in mostra fino alla serie recente in cui evoca l’evolvere della vita sul nostro pianeta: perché l’arte, dice, “è fare per far pensare”

Ada Masoero, L’ironia di Marchegiani, “Il sole 24 ore” 15 agosto 2010.


Elio Marchegiani viaggiatore cosmico dell’arte contemporanea, ha investito la torre di Guevara, nell’isola d’Ischia, con la realizzazione della grande collana ideata all’epoca della conquista dello spazio, che racconta tutte le età della sua vita, passata nella continua tensione della sperimentazione…..nel bel mezzo c’è sempre lui, oggi qui, domani in un altro luogo, a fecondare con un grande fuoco, che segue una brillante alba e segue una nera notte, con la voglia sempre intatta di fare da  Ulisse, con l’occhio sempre penetrante come un laser, con le mani sempre intente a farne una, nuova.

Francesco Gallo, Sacro e profano nell’arte di Marchegiani, Il Denaro.it Cultura, 19.09,2010.


…..le Gomme, realizzate nei primi anni settanta, e interessate al valore della materia: Marchegiani preleva una superficie in caucciù e la sottopone forzatamente a un inevitabile processo di invecchiamento, incorniciata, appesa al muro e colpita da una luce radente. Il risultato è quello a cui (anche se impercettibile) andiamo incontro, giorno dopo giorno, nella nostra quotidianità. L’opera invecchia, cambia, si modifica davanti a nostri occhi facendosi così specchio e metafora della nostra esistenza. Dunque, il cambiamento, più o meno visibile, è parte della produzione dell’artista e caratterizza anche le opere degli anni ottanta, intitolate Dicroici: si tratta di superfici a intonaco che ospitano, al centro, una sottile lastra in vetro (disposta perpendicolarmente)…..la sua peculiarità? La possibilità di generare un doppio riflesso di colori diversi, a seconda della fonte di illuminazione e dell’inclinazione della stessa…..

Silvia Colombo, 1 La cultura è energia, www.artitude.eu, 2012.


…..I legami tra scienza e immagine hanno portato nel tempo a studi sulle questioni esistenziali universali, fino ai Dicroici degli anni 80 che mostrano come una lastra di vetro possa diffondere contemporaneamente due ombre contrapposte, e alle famose “Divinità”, che per quanto possano essere ridotte ad apparizione sul palco di una discoteca riescono a mantenere un’aura misteriosa, per cui ne percepisci solo l’ombra…..

Marta Elena Casanova, 1 La cultura è energia, www.mondoMRS.com, 2012.


Gli anni Sessanta sono di plastica. Così diventano di plastica anche gli dei dell’Olimpo: Venere lo diventa nel 1965, Minerva nel 1967, insieme ad Apollo. Elio Marchegiani è il vulcanico Vulcano che li ha forgiati nella sua officina, anzi, che li ha “stampati” e inscatolati, in modo da farcene vedere soltanto le ombre attraverso un prexiglas translucido e una sequenza di colori “psichedelici” (quasi) sincronizzati su musiche di John Cage, che lo stesso musicista gli aveva consigliato e scelto. La rivoluzione dissacrante degli anni Sessanta passa per il Piper per approdare agli scontri di Valle Giulia del 1968, ma passa anche per le gallerie come l’Apollinaire di Guido Le Noci, mitico talent scout di tutte le neovanguardie tra Cinquanta e Settanta: “la cultura è energia” – che dà il nome a questa mostra da Allegra Ravizza, a Milano –  di fatto è una frase di Pierre Restany per una serie di cinque mostre-flash di Marchegiani presso l’Apollinaire di Milano, iniziate il 29 gennaio 1971 e finite il 5 marzo dello stesso anno….. Appassionato di tecnologia, di tutte le tecnologie, Marchegiani dichiara in quegli anni di costruire oggetti tecnologici per irridere all’atteggiamento tecnologico imperante, utilizzando per questa operazione l’insegnamento socratico dell’ironia, che è un metodo per poter mostrare le cose più terribili adottando un percorso linguistico laterale, deviato quel tanto da poter eludere le difese erette nelle convenzioni sociali dal moralismo….. Ecco allora che una pelle di caucciù invecchia come una pelle di un essere vivente (le “gomme” realizzate dal 1971), come una lastrina di vetro può diffondere contemporaneamente due ombre contrapposte (i “dicroici” degli anni Ottanta), o una divinità essere ridotta a un’apparizione sul palco di una discoteca, magari mantenendo comunque quell’allure di mistero per cui  ne percepisci soltanto l’ombra, per quanto colorata, per quanto pop. Anche se gli dei ballano al Piper, qualcosa della loro divinità rimane nei nostri occhi.

Marco Meneguzzo, Gli Dei ballano al piper, Artecontemporanea, n.30 gennaio-febbraio 2012


Elio Marchegiani ha una vocazione “magica” nei confronti del mondo che lo circonda, che ci circonda. Però, non ha costruito, come un bambino, un suo mondo dotato di regole proprie e quindi tendenzialmente magiche,… no, ha invece guardato al mondo dei fatti, degli avvenimenti, addirittura della cronaca con l’atteggiamento del mago, di chi, cioè, è capace di stravolgere la realtà visibile per restituircene un aspetto diverso. In altre parole, non ha costruito un mondo parallelo dove essere il demiurgo, il legislatore, il costruttore di regole: ha invece rifatto il mondo a partire dal mondo, così come ci viene proposto dalle narrazioni comuni, condivise, mediatiche. In questa attitudine gioca un ruolo decisivo l’ironia, e persino il suo fratello minore, il “motto di spirito”, applicati a qualsiasi avvenimento o fenomeno di costume, a qualsiasi racconto della realtà. Marchegiani infatti parte dal livello medio dell’informazione, persino della singola notizia, per alzarne o abbassarne il tono, per abbattere la retorica imperante o per esaltare il minimo fatto che per lui assurge  a paradigma, a esempio di una possibile alternativa di visione e di interpretazione. …..

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Ebbene, da questa velocissima carrellata su cinquant’anni di lavoro non si può che confermare quell’insieme di caratteristiche concettuali di cui si è parlato prima di affrontare la cronologia vere e propria dell’attività: ironia, eclettismo formale, ma non sostanziale, attenzione enciclopedica verso il mondo degli oggetti, concetto di produzione e lavoro, attitudine etica (“fare per far pensare” è il suo motto preferito), senso del magico, vocazione alchemica, collezionismo di idee sono sempre presenti, anche se in gradazioni diversificate nel tempo, in tutti i suoi lavori. Ma, come si diceva che tutte queste caratteristiche sono elementi “a monte” della realizzazione vera e proprio, della formalizzazione dell’opera, forse esiste qualcosa, un’attitudine, un istinto, una conformazione di Elio Marchegiani ancora più originaria, ancor più sprofondata nelle radici del suo voler essere artista, e nell’esserlo. Forse si potrebbe parlare di una sorta di coscienza dialettica, il cui scopo è il controllo delle proprie azioni in relazioni all’andamento del mondo: tenere tutto sotto controllo è l’utopia umana per eccellenza, e Marchegiani ne è assolutamente conscio, sia di questo desiderio, come della sua irrealizzabilità. E tuttavia ci prova, tenendo sempre aperta la valvola di sicurezza dell’ironia. La sua vocazione totalizzante – “enciclopedico” è un aggettivo usato poco sopra … – ha una dimensione prettamente umana, ma proprio delle dimensioni fisiche dell’uomo, e dell’uomo Marchegiani, che ha radunato attorno a sé tutto il mondo, sotto forma di oggetti. Tutto ciò che lo circonda gli basta per affrontare la vita: si ferma al visibile perché nella sua grande fantasia è un pragmatico, e pensa che solo fermandosi a questo stadio, il futuro fatto in casa – perché di questo si tratta – ha maggiori possibilità di realizzarsi.

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Marco MeneguzzoElio Marchegiani: Il futuro fatto in casa, catalogo Silvana Editoriale, 2013


Dunque, poiché tutte le cose sono causate e causanti, aiutate e adiuvanti, mediate e immediate, e tutte sono legate da un vincolo naturale e insensibile che unisce le più lontane e le più disparate, ritengo che sia impossibile conoscere le parti senza conoscere il tutto, così come è impossibile conoscere il tutto senza conoscere particolarmente le parti. (Pascal, Frammento n. 72, Pensieri)

No, caro mio, anche questa volta non ho esagerato nel trucco e neanche nel travestimento. (Elio Marchegiani, Intervista allo specchio, 1981)

“Sii plurale come l’universo!”. L’imperativo unico di Fernando Pessoa appare perfettamente coerente con la vulcanica ricerca di Elio Marchegiani, un artista che, in oltre sessant’anni di carriera, si è confrontato costantemente con la complessità e il paradosso…..

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Ogni opera di Marchegiani, insomma, contiene tutte le precedenti in una sola moltitudine, il work in progress prosegue da sessant’anni senza sosta nella circolarità di un pensiero ribelle pronto, ogni volta, a sfidare le nostre certezze e le nostre frustrazioni perbeniste.

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Alberto Fiz, Le trappole visive di Elio Marchegiani in “perché” Primo Marella Gallery editore, 2016


Non disturbare il conducente, il sistema dell’arte ha regole severe , spesso addirittura invalicabili. Tra queste è indispensabile rassicurare lo spettatore, o per meglio dire, l’investitore. Un conto è sedurlo attraverso complessi percorsi concettuali di carattere intellettualistico, molto spesso indirizzati a pochi adepti, un altro è allontanarlo da stereotipi già ampiamente consumati creando un dubbio permanente rispetto alla visione. ….  …. L’Arte, lo sappiamo bene, è pur sempre un prodotto di consumo e per accogliere l’estatico collezionista Marchegiani crea, nel 2016, una grammature verticale pret-a-porter  tutta giocata sui toni del marrone e del grigio che, come un maxischermo, compare davanti a una sedia girevole (il trono del collector) con le stesse nuances di colore. Ma la serie delle digressioni si allunga in una sfida all’omologazione dell’indifferenza che prevede anche l’installazione di un camino classicheggiante simile a quelli dei ricchi pervenus. Solo che lo scoppiettio della legna si è trasformato nella Grammature a led luminosi nell’ambito di un’istallazione straniante dove compare un cherubino in marmo con la coroncina d’oro sulla testa che ha la posa del capo indiano in un coctktail visivo superenergetico degno dei Monty Python. Tra tecnologia, postmoderno e una spruzzatina di etno, il rito è definitivamente consumato mentre, a poca distanza, i mille autoritratti di Hélios del 1966, con le prime pionieristiche programmazioni, scrutano il mondo sempre più sottosopra. “Beati quelli che sanno ridere di se stessi, perché non finiranno mai di divertirsi” Parola di San Tommaso.

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Alberto Fiz, Io, Elio e il furto delle Grammature  in Elio Marchegiani “io ironicamente io” Primo Marella Gallery, Milano, 2017

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Elio Marchegiani è un funambolo dell’arte che fa convivere in modo inusuale, autobiografia e attualità; educata, paziente manualità e fulminea intuizione; sofisticata tecnologia e antiche tecniche espressive; invenzioni spaziali e innovative prassi scultoree; rigorose composizioni analitiche e spiazzanti interventi concettuali. Nessun linguaggio dell’arte gli è estraneo: la pittura, la scultura, l’installazione, la performance, la projectual-art, l’arte cinetica, il disegno. Tutto ciò non lo fa incagliare nelle secche dell’eclettismo, ma lo rende un artista raro, capace di padroneggiare diversi linguaggi e di mantenere, al contempo, un singolare rigore, frutto dell’imperativo, più volte dichiarato, “fare per far pensare”. …..  Un continuo work in progress, titolo anche del recente lavoro iniziato nel 2000 e non ancora concluso con il quale l’artista intende narrare la fine della storia sul nostro pianeta.

Tassello significativo di questo de profundis annunciato è l’installazione Future Past del 2016. tredici scimmie di bianca materia sono in piedi e, con fare minaccioso, brandiscono una clava di ulivo. Un’altra siede su un masso e tiene tra le mani una selce lavorata, appuntita, trasformata in arma. A parete una raffinata superficie, marchio di ‘fabbrica’ dell’artista, ospita la scritta, Future Past, creata con una serie di selci collezionate nel tempo. Ecco un altro rebus concepito dalla mente in un certo senso diabolica di Marchegiani. Le scimmie bianche sono una metafora esplicita degli uomini che spesso venivano così chiamati. La clava di ulivo è una intuizione sorprendente e ci ricorda, con la forza dirompente dell’ironia, quante siano state le guerre, gli stermini, le violenze perpetrate in nome della pace. Basti pensare, come atroce esempio, alla straziante situazione siriana: una delle tante ferite della storia contemporanea che non sarà facile rimarginare. L’artista vuole ricordarci quanto il nostro futuro sia incerto, osservando il triste presente costellato di guerre, minacce atomiche, respingimenti, feroci atti terroristici. Sembra dirci che il futuro privo di speranza è solo il drammatico riflesso di un oscuro passato.

Anche con questa recente opera Elio Marchegiani conferma di essere un autore non imbrigliato dentro schemi preconfezionati e per questo inclassificabile, caratteristica particolarmente positiva in un tempo in cui la globalizzazione tende a uniformare gli stili, i prodotti e persino le esistenze. Nei suoi lavori aleggia lo spirito sovversivo dell’ironia che supera la bonaria accondiscendenza del sorriso e diventa un demone. L’ironia si trasforma in una superiore forma di saggezza, l’antidoto contro il disgusto provocato dalla ripetitività delle forme e la pratica che rovescia ogni modello interpretativo prefissato. È la coscienza critica che denuncia l’idolatria dei dati, i quali sono solo una parte della sfaccettata complessità del reale. L’ironia è il prezioso strumento con il quale Elio Marchegiani ha ammantato di sconfinate ricchezze le sue creazioni e attraversato indenne le spinose frontiere degli idiomi. Spirito libero e rigoroso artista, sembra aver fatto sue le parole di Victor Hugo: “È dall’ironia che comincia la libertà”.

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Umberto Palestini, Dove comincia la libertà in Elio Marchegiani Soffio del mio vento, Casa Natale di Raffaello, Baskerville editore, 2017


Sul numero 21 di ARTE&CRONACA, quello del dicembre millenovecentonovanta con la copertina d’autore espressamente realizzata da Elio Marchegiani (giocata su quel sovrapporsi della S sulla R che portava alla contemporaneità linguistica dei termini ASTE/ARTE), Gillo Dorfles nel suo scritto…”., ad un certo punto affermava: “E, se è concesso ‘giocare con le parole’ (come oggi troppo spesso si ha il vezzo di fare, ma come, del resto si è sempre fatto), potremmo dire che le grammature di Marchegiani (ossia le diverse ‘unità di superficie cromatica’ proprie d’ogni singolo supporto) sono forse parenti inconsapevoli della grammatologia derridiana. C’è una differenza (anzi una différance), ma è una differenza che si riferisce più al gioco linguistico che alla sostanza di codesto gioco.

E ancora una volta, nella conferma di quel “fare per far pensare” che identifica da sempre il maestro e compagno di strada, affascinato e coinvolto dalla manualità, di cui non possiamo non rammentare gli antichi e talvolta comuni trascorsi (tra memoria e trasgressione, tra gioco e paradosso, tra irriverenza e denuncia), svoltisi tra Bologna e Venezia, tra Roma e Milano, tra Rieti e Marsala, nel segno di Carola, e coinvolgendo indimenticati amici quali Pierre Restany e Guido Le Noci, oltre che Gasparo Del Corso, Irene Brin, Cesare Bellici, Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Dino Gavina, Franco Farina e Bruno D’Amore nell’esercizio di quel continuo ed infinito rapporto tra arte e scienza, tra arte e tecnologia che porta al “procedimento circolare” della conoscenza … (quell’intendere/esercitare, da parte dell’artista e da parte del critico, l’alchimia e la tecnologia funzionali alla comprensione dell’opera d’arte). …

Nella conferma di quel persistente divenire che lo accompagna da tempo insieme alla sua materia, come ci aveva detto quasi trent’anni or sono, e che oggi gli fa affermare: “Non posso pensare il futuro come il presente se non voglio ritornare al passato”.

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Toti Carpentieri, A lungo potrei scrivere in catalogo Marchegiani Galleria L’Osanna, Nardò, Editrice Salentina, 2017

Anni 2020

Il rinnovato vento di ” Portofino Città di cultura ” porterà al Castello Brown un grande del nostro contemporaneo, Elio Marchegiani.
Quanti ricordi sono legati alle sale del Castello che mi riempiono di orgoglio.
Era il 1977 quando, con la Galleria Civica di Portofino, iniziai a ospitare in quelle sale, importanti promesse del mondo dell’arte. Fino ai primi anni 90 si succedettero artisti come Vedova, Agnetti, Manzoni, Costa, Rotella, Venet, Arman, Schifano, Pozzati, Angeli, Parmiggiani, Mitoraj, Pomodoro, Vigo ed altri artisti che ora sono considerati indiscussi maestri della nostra storia dell’arte.
Iniziare un nuovo percorso artistico al Castello Brown con un artista del livello di Elio Marchegiani, non può che consacrare ulteriormente quella sede così affascinante.

Difficile è parlare di un artista del quale già tanto, forse troppo, in più di sessanta anni di attività, si è scritto sulla sua arte. Posso parlare però di lui, con il quale ho avuto un rapporto più personale di quello che normalmente c’è tra un artista e un critico. Tanti tanti anni fa gli portai una foto un poco ingiallita di un suo lavoro che aveva realizzato usufruendo di un luogo indispensabile per quella creazione. Si trattava di un’azienda della mia famiglia, la ” Uno Surgelati d’Italia ” , dove lui realizzò l’opera dal titolo “Il Pensiero surgelato” nella quale raffigura, per sempre insieme bloccati dal gelo perenne, la Bibbia e I Pensieri di Mao.
Correva l’anno 1970 e da allora io, imberbe giovane attratto dal magico mondo dell’arte, mi fregio della sua amicizia.
Già da allora l’artista poneva la propria attenzione su quella che era la sua visione del mondo, sulla sua intenzione di proporre una filosofia della vita e di abolizione dell’antinomia tra teoria e pratica.
Eraclito diceva che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, parole che il nostro artista ha ben presenti avendo sempre continuato ad essere immerso nello stesso. Ma quale ?
A mio parere Marchegiani è l’unico che da sempre ha mantenuto viva la fiamma di quella rivoluzione visiva ed intellettuale nata nel primo decennio del secolo passato grazie al Dada, corrente culturale-rivoluzionaria, nella quale l’angolo visuale di percezione veniva cambiato, al fine di de-contestualizzare e spaesare l’oggetto, che da uso del quotidiano diventava opera d’arte, grazie alla consacrazione effettuata dall’artista: nasceva così il Readymade.
Dalla pittura retinica alla pittura mentale Elio Marchegiani ha saputo farne una propria continua filosofia di vita, facendone il perno teorico e di prassi dell’avanguardia contemporanea, mantenendo viva quella rivoluzione culturale nata più di cento anni fa, riuscendo ad affermare il concetto che l’artista sa fondere nella sua opera il credo dei poeti e dei letterati, ribaltando, cosa che il sempre giovane Elio ama, l’anormalità con cui viene considerata la figura dell’artista.
La sua avventura della vita è stata quella di capovolgere l’ovvietà e la banalità di una certa espressione artistica legata ad un dato concetto di ordine, a favore di quel radicale rinnovamento, privilegio di pochi creando opere che fanno riflettere.
La sua stella cometa ha attraversato quel magico mondo che da tanti anni mi affascina attraverso incursioni nell’informale, nel pop, nell’optical, nel concettuale, nel figurativo e pure attraverso la performance e continuando la propria coerenza artistica, cara al readymade, creando arte, interloquendo con gomme, lavagne, pergamene, intonaci e dal suo mondo alchemico, nasce l’oro.
Egli crea da sempre mandala attraverso luci, voci, cristalli e fossili per arricchire tutti noi.
Le sue opere sono già mentalmente da lui prodotte prima di essere create, e, nel serpente culturale creato nel corridoio del Castello, il visitatore troverà il – Perché del Perché – indicazioni che, attraverso la riproduzione dell’opera posta nel suo contesto storico, insieme alla spiegazione del proprio perché, farà comprendere il suo “fare per far pensare”.
Credo sia corretto terminare con le parole di Elio trovate tra tanto di quanto ha detto e scritto : “ Voglio ripetere a chi legge quanto, da sempre, ho sostenuto: l’Arte è una Scienza esatta che ha avuto la fortuna di non esserlo, nella mia presunzione del – fare per far pensare – “.
Alcuni anni fa al Museo del Novecento in Milano, in occasione del Premio Montale Arte conferito a me, a Arturo Schwarz e a Nanda Vigo, parlando del lavoro di Elio, ebbi il piacere di ascoltare dalle labbra di un grande come Arturo la frase ” è degno figlio di Duchamp”.

Daniele Crippa, Palingenesi =Scritto in Portofino da Daniele Crippa nel giorno di Santa Virginia dell’anno 2020 in una uggiosa giornata di Covid.

Si è giovani o vecchi a seconda della mente, del desiderio di indagare il mondo al di là di quelle convenzioni o convenienze che determinano la nostra vita. L’arte aiuta in questo senso a patto che a maneggiarla sia una persona capace di superare certi facili stereotipi e che magari abbia scoperto che “l’Arte è una Scienza esatta che ha avuto la fortuna di non esserlo”. Così afferma un giovanissimo Elio Marchegiani che, alla fresca età di novantadue anni, continua a sperimentare quella verità che pochi amano poiché va a minare le effimere certezze o le opinabili velleità di ciascuno.

“Quando l’uomo sapiens non prendeva ancora granchi” è il titolo della sua esposizione, curata da Daniele Crippa, accolta ora al Castello di Portofino. Perché Portofino? “Ho voluto che questo ciclo sulla fossilizzazione umana venisse esposto in un luogo dove l’attenzione verso il mare è dimostrata dalla limpidezza, ancora, delle sue acque”. Un monito e un rammarico per tutto ciò che si sta sperperando in natura e che proprio i reperti fossili in mostra, inseriti e incorniciati talora come reliquie in cui specchiarsi, fanno drammaticamente emergere. Loro sono quello che noi saremo inevitabilmente anche a causa di quella “fossilizzazione umana” che insidia i nostri tempi dove il cosiddetto progresso sta punendo sé stesso. Noi siamo ora padroni della Terra come lo sono stati i dinosauri estinti più di sessanta milioni di anni fa. E il titolo vuol farci intendere che l’homo sapiens, una volta comparso sulla faccia del nostro pianeta, ha potuto compiere quei danni di cui tutti parlano ma pochi pensano di evitare. Marchegiani si è sempre interessato di tale spinoso argomento avvalendosi della critica ironia che gli appartiene: nel 1969 ha inteso sottolineare la gravità di uno sternuto all’interno del casco indossato da Schweickart, pronto per essere lanciato col LEM da Cape Kennedy per conquistare la Luna, a cui è seguita la sospensione della missione spaziale e il conseguente ricovero in ospedale dell’astronauta. Se questo “banale” inconveniente era stato sufficiente per bloccare la missione Apollo, quanti “sternuti” danneggiano quotidianamente il nostro mondo? Elio ha risposto prontamente al quesito esponendo quello stesso anno nella prestigiosa Galleria Apollinaire di Milano, diretta da Guido Le Noci, novemila mosche vive lanciando così non solo un macigno nel mondo artistico di allora ma un monito a coloro che dovrebbero salvaguardare il nostro bene supremo e non lo fanno. E ora che cosa troviamo in rassegna? Per esempio un Pachythrissops del Giurassico ovvero la sua impronta sulla pietra che lo contiene; quindi un candido Nautilus intinto nell’oro; segue un Paleocarpilius, un granchio dell’Eocene- Miocene che ci scruta dalla sua postazione; senza trascurare un Trilobite Paradoxides proiettato fino a noi da seicento milioni di anni addietro e così di seguito grazie alla presenza di reperti appartenenti alla collezione dell’artista. In mostra compare anche un’opera del 2005, intitolata “Cappuccetto nero”, che rappresenta un bambino provvisto di maschera antigas quasi a precorrere quel clima “virale” che attualmente ci opprime non solo fisicamente. E cosa fa di rimando il nostro autore? “Vado in giro con la ‘museruola’ e non con la mascherina a cercare una ‘T’ per trasformare Virus in VirTus!” Che sia dunque opportuno mettere in pratica un certo tipo d’arte per tentare di salvare il mondo? La risposta è nel caustico sorriso e negli ostentati “fossili” di Elio Marchegiani.

Luciano Caprile, “Quando l’homo sapiens non prendeva ancora granchi” in catalogo Elio Marchegiani , Castello Brown Portofino 2021


Ada Patrizia Fiorillo
, in Un’insolita presenza della scultura italiana contemporanea: le sperimentazioni di Elio Marchegiani tra arte e scienza in STUDI di Scultura Età moderna e contemporanea, Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Studi Umanistici, Editori Paparo, Roma, 3/2021

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Luigi Rugiero, in visioni artistiche – Rivista Fatebenefratelli, edizioni Fatebenefratelli Roma, novembre 22

Un “Arcobaleno” lungo 25 Secoli geniale leggerezza delle linee di colore da Appelle a Marchegiani

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Nel puntuale disegno delle «linee di produzione» di Marchegiani tracciato da Carola Pandolfo Marchegiani, giunti agli anni Settanta, dopo l’invenzione e realizzazione delle “Gomme” (1971), si riscontra un testo di Marchegiani, peraltro pubblicato sulla rivista “Data” nel numero di novembre-dicembre 1975, in cui egli, riferendosi a una sua opera del 1973, Dalla gomma al quadro bianco-muro-lavagna,  tra l’altro afferma: «Un’altra necessità. Ricoprire di bianco opaco parte della gomma in un giuoco d’ambiguità, per cui il bianco diventa la tela e il colore intrinseco del caucciù quello portato dalla mano del pennello. “Ricondurre Il discorso ad un problema di supporto-superficie riproponendo alla base, una mediazione su un certo tipo di cultura, su certe strutturate basilari del nostro modo di guardare”.

Alla fine del 1973 ho ricoperto di bianco il supporto di gomma concludendo un ciclo nato nel lontano 1948. Venticinque anni ed il ritorno alla tela bianca che mi ha riportato alla memoria il primo supporto bianco dove ho tracciato la mia prima asta in libertà: il muro; ed il primo senso delle coercizioni ed imposizioni di un sistema che mi sono giunte dalla lavagna, già dai primi giorni di scuola.
Muro e lavagna. Muro contro lavagna, Libertà contro sistema e cultura codificata.

Le “Grammature di colore” su supporto intonaco sono state declinate da Marchegiani in versioni differenti, tanto da costituire una delle fasi del suo lavoro tra le più cariche di sviluppi di implicazione, investendo e intersecando ambiti come la geometria, la ritrattistica, l’ ‘interior decoration’, la filosofia (le si potrebbe eleggere ad emblema della deleuziana “differenza e ripetizione”), e perfino il linguaggio codificato. È forte – a mio parere – la relazione assolutamente possibile in termini iconografici di Zeitgeist,  tra l’invenzione della loro configurazione spaziale e ritmica nell’impianto della pagina pittorica di Marchegiani con il codice QR di Norman Joseph Woodland che seppur intuito nel 1948 con Bernard Silver, fu sviluppato però presso l’IBM come codice a barre lineare solo il 3 aprile 1973, e  posto in azione presso un supermarket americano nell’Ohio su un pacchetto di gomme americane solo nel giugno del 1974! Il raffronto è del tutto relativo alla pura somiglianza e alla casuale temporalità condivisa dalle due diverse esperienze, ancorché entrambe le immagini appartengano alla vasta sfera del linguaggio visivo.

Le precoci “Grammature di colore” di Marchegiani si annoverano come una delle sue numerose diverse ricerche sui fondamenti del fare pittura quale sinonimo del suo magico mantra, spesso riferito, del “fare per far pensare“. Il soggetto esoterico che tuttora rende attuale quel suo ciclo di lavoro, di cui la mostra esibisce una variegata serie di esempi, è dunque il tempo della pittura proteso tra il primo segno nel Paleolitico sulle pareti delle caverne e il gesto elementare compiuto da Marchegiani sul supporto d’intonaco con le sue “Grammature di colore”.  Che è come dire il tempo che intercorre nella storia del movimento tra la ruota e la capsula spaziale!

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Bruno Corà in catalogo edizioni Kromya Art Gallery, Lugano, 2022.